e Andrea Debernardi, Ingegnere della mobilità
La crisi economica e finanziaria ha
determinando in tutti i settori una forte
riduzione delle risorse
disponibili per nuovi investimenti. Tale contesto rende
necessaria e
improrogabile, da parte della politica e delle istituzioni,
un'attenta
ridefinizione delle priorità di intervento nel settore
delle opere pubbliche in
generale, in modo tale da anticipare il più
possibile i benefici derivanti dalla loro costruzione, limitando
l'esposizione finanziaria e, possibilmente, garantendo le
maggiori
ricadute occupazionali.
Questo dovrebbe anche essere l'orizzonte
strategico dei decisori politici e finanziari e dei concessionari
autostradali alle
prese con le difficoltà imposte dalla crisi. In
particolare in Lombardia, territorio in
cui si concentra un eccesso
di offerta di nuove autostrade (Brebemi, Tem,
Pedemontana,
Broni-Mortara, Cremona-Mantova, Tibre, Orbitale esterno di
Brescia)
e in cui le numerose iniziative proposte negli scorsi anni o sono da
tempo
ferme al palo o stentano a decollare.
Pedemontana e Tem
- Prendiamo ad esempio i casi di Pedemontana e
Tangenziale est
esterna. Per realizzare queste due autostrade (complessivamente
109
chilometri a pedaggio) servirebbero, nell'insieme compresi gli oneri
finanziari,
7,4 miliardi di euro (5,4 per la prima, 2 per la
seconda).
Di questi, 1,2 derivano da
fondi statali (solo per
Pedemontana), gli altri 6,2 miliardi circa dovrebbero essere
messi a
disposizione dai soci delle due compagini e, conseguentemente,
dalle
banche coinvolte nel finanziamento (Cassa depositi e prestiti,
Bei, Imi, Popolare
Milano, Unibanca, BancaIntesa).
Si tratta di due
realizzazioni che, nell'insieme,
rappresentano la più importante
opera pubblica del nostro Paese. Opere decise
anni fa - nella fase
pre-crisi e in presenza di risorse finanziarie abbondanti e tassi
contenuti - che faticano a partire e a raggiungere la cosiddetta
"bancabilità". Non
tanto per le opposizioni locali di
sindaci e comitati vari (che ci sono state e che
tuttora,
giustamente, continuano ad esserci e che pongono al centro della
riflessione e della lotta la tutela del territorio e un modello di
mobilità differente
rispetto a quello proposto), ma per via della
profonda crisi del sistema economico
e di quello finanziario e del
gigantismo infrastrutturale di cui sono vittime.
Fatti, questi ultimi, talmente evidenti
che meriterebbero da parte della politica e
delle istituzioni
centrali e locali una profonda e severa analisi e un immediato
ripensamento. Invece, nonostante gli allarmi lanciati dalla stessa
stampa
nazionale (in cui si parla apertamente di "crac"
per le autostrade lombarde) circa
le evidenti difficoltà
realizzative, i decisori pubblici e i concessionari autostradali
fingono di non curarsi della situazione, aprono cantieri qui e là
sul territorio
lombardo e promettono a sindaci e cittadini, oltre
alle autostrade, anche
tangenziali, bretelle e strade di connessione
alle nuove arterie.
Nessuno, tranne
poche lodevoli eccezioni
(Legambiente, i comitati locali, alcune forze politiche di
sinistra,
esperti di trasporti), si vuole confrontare con il contesto
economico-
finanziario di questi ultimi anni. Nessuno, tranne pochi
soggetti, pone il tema
della selezione delle priorità di
intervento, perché né le risorse pubbliche né la
finanza privata
sono in grado di reggere piani faraonici come quelli contenuti nella
legge Obiettivo del 2001.
Addirittura sono le stesse società
concessionarie (convegno di Autostrade per
l'Italia del 4 dicembre
scorso) a domandarsi come procedere in questa scelta
selettiva, se
cioé in base a un'analisi costi-benefici sui dati attuali della
domanda
di traffico e sulle stime di incremento futuro o, al
contrario, sulla base di visioni
strategiche sul futuro dei
trasporti, che anticipino la domanda e la orientino.
La
politica
invece, buon ultima, procede ancora per illusioni, convinta che la
cultura
delle grandi opere possa reggere il confronto con la crisi e
che questa sia una
giusta ricetta anticongiunturale.
Serve invece un ripensamento profondo
delle scelte autostradali, serve una
coraggiosa cura dimagrante,
serve - in attesa delle definizione di un nuovo quadro
di certezze
in cui, in modo rigoroso, si ridefiniscano domanda (sempre
sovrastimata) e costi (spesso sottostimati) - uno stop ai cantieri
già aperti per
evitare che il territorio del nord della Lombardia e
dell'est milanese si trasformi in
tante piccole Salerno-Reggio
Calabria, con cantieri aperti (una decina sono quelli
avviati lungo
il tracciato della Tem) senza certezze di continuità. E questa
riflessione non può che partire dalla regione motore dell'economia
italiana e
punto di riferimento della politica italiana.
Le difficoltà di Milano-Serravalle
- Un esempio delle difficoltà a finanziarie le
nuove autostrade è
dato dalla situazione della Milano-Serravalle, la società a
maggioranza pubblica proprietaria del primo tratto dell'Autofiori e
delle
tangenziali milanesi e che controlla il 68% di Pedemontana, il
38% di Tem e l'8%
di Brebemi. Le difficoltà stanno nel
completamento della struttura finanziaria,
che oggi vede solo la
sottoscrizione di prestiti-ponte con le banche che dovrebbero
essere
garantiti da aumenti di capitale delle società controllate. Aumenti
di
capitale che Serravalle non può sostenere, perché la Provincia
di Milano (tramite
la sua holding pubblica Asam), socio di
maggioranza al 52,9%, non ha i fondi.Pure il recente tentativo di vendita
dell'82% delle azioni della società autostradale,
avviato
congiuntamente da Comune di Milano e Provincia, non è andato in
porto
proprio a causa degli alti costi di capitalizzazione che
l'acquirente avrebbe dovuto
sostenere, oltre ai 658 milioni indicati
nella base d'asta della gara. Insomma, non
ci sono compratori per
società costose, che rendono meno del passato (il traffico
sulla
rete della Serravalle nel 2012 è diminuito del 7%) e che sono
fortemente
impegnate per investimenti miliardari.
In aggiunta a questo quadro si uniscono
due altri fatti.
Il primo riguarda
l'aumento di capitale deciso dal
consiglio di amministrazione della Serravalle lo
scorso 5 dicembre,
che è stato di soli 100 milioni di euro a fronte degli oltre 400
necessari per
effettuare il "closing" dei due project
financing (350 per
Pedemontana e 50 per Tem) a suo carico. Solo
sbloccando i project infatti i
cantieri potranno proseguire.
Il
secondo, la vendita, annunciata dal presidente
della Provincia Guido
Podestà, del 18% delle azioni di Pedemontana è saltata a
causa di
problemi politici nella coalizione PdL-Lega di Palazzo Isimbardi. Per
non
parlare poi dei continui avvicendamenti dei vertici societari di
Pedemontana e
Tem e delle altrettanto continue liti tra il
presidente, Marzio Agnoloni (quota PdL),
e il suo vice Paolo Besozzi
(quota Lega). Solo poche settimana fa, infatti, il primo
affermava
che "la società ha i mezzi finanziari per seguire il programma
di
infrastrutture e gli aumenti capitale di Pedemontana e Tem fino a
metà 2014"; il
secondo sosteneva la tesi secondo cui la "la
situazione è tragica e che i gioielli di
famiglia si vendono solo
se si fanno le grandi opere, non se finiscono nelle tasche
dei soci
attraverso il capitale delle società".
Si tratta di fatti,
questi, che non
incoraggiano certo i nuovi investitori. Da aggiungere
vi è anche lo stato di
attuazione del Piano di investimenti
2007-2015 di Serravalle in base alla
convenzione con Anas. Si tratta
(fonte Legambiente Lombardia) di 21 interventi
per un totale di 573
milioni euro: di questi solo 6 interventi sono stati completati
(138
milioni), 4 cantieri sono stati avviati, mentre 11 opere sono ferme
al palo. Di
recente, nell'ultimo Consiglio provinciale del 2012, il
presidente Agnoloni ha
anche affermato che, entro il 2013, i soci di
Serravalle saranno chiamati a un
aumento di capitale di circa 700
milioni di euro.
Un'altra incertezza riguarda Pedemontana. Come
sostengono alcuni quotidiani
economici, l'impresa autostradale (di
cui a gennaio dovrebbero essere consegnate
le opere del tratto B1 ed
entro l'inizio del 2014 quelle del tratto A; i contratti degli
altri
lotti verranno sottoscritti solo in presenza dei finanziamenti), per
quanto
riguarda il quadro finanzario, è sulla soglia del baratro.
Il fabbisogno ammonta
infatti a circa 5 miliardi di euro, compresi
gli oneri. Il resto della provvista
finanziaria tocca all'equity da
parte dei soci (536 milioni di euro, di cui solo 200
messi a
disposizione) e poi al mercato, attraverso diversi soggetti per oltre
3,2
miliardi. Le banche poi non hanno rinnovato nemmeno il
prestito-ponte di 200
milioni.
Per Tem invece le casse sono a secco;
il "tiraggio" del prestito-ponte non è
ancora iniziato e
l'aumento di capitale per 120 milioni di euro non si è ancora
verificato. Ciò che stupisce, a fronte di tanta incertezza sui
finanziamenti, è
l'assenza, da parte dei vertici della società di
Assago, di una "strategia d'uscita",
che non sia il
ricorso al futuro e incerto meccanismo dei project bond.
La parola alla politica - È
evidente a tutti che ogni prospettiva di revisione della
spesa deve
però tener conto del fatto che molti interventi già decisi hanno
dato
luogo, negli scorsi anni, all'assunzione di ben precisi impegni
da parte dello Stato
nei confronti di soggetti di diritto privato.
La revisione dovrà pertanto confrontarsi
con il quadro delle
convenzioni e dei contratti già sottoscritti, avviando un'attività
negoziale, con i soggetti più sensibili alle
mutate prospettive
finanziarie (le
banche), per riuscire a concentrare l'impiego delle
risorse già disponibili e
impegnate verso opere a ritorno
socio-economico più rapido, in termini di benefici
agli utenti,
all'ambiente e all'occupazione.
Nel frattempo, sul piano squisitamente
politico e trasportistico, si può consigliare
di iniziare la cura
dimagrante delle autostrade lombarde a partire proprio da Tem
e
Pedemontana, limitando gli interventi, nel primo caso, al solo "arco
Tem" (10
chilometri tra la Rivoltana e la Cassanese necessari
per intercettare il traffico in
arrivo di Brebemi) e, nel secondo,
al completamento del tratto B1 e della
tangenzialina di Como.
Poi -
per consentire di definire, per ciascuna concessione,
un'ordine di
priorità per gli investimenti - è indispensabile condurre, su basi
omogenee, un'analisi tecnico-economico-ambientale delle singole
tratte dei
tracciati autostradali. Dopodiché la parola dovrebbe
passare alla politica e alla
istituzioni, in particolare al nuovo
governo regionale, da cui, su questi temi, ci si
aspettano novità
di approccio
a problemi complessi e forti segnali di
discontinuità.
Milano, 8 gennaio 2013
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