mercoledì 25 gennaio 2012

VENDOLA ALL'ASSEMBLEA DI SEL 2°

ITALIA: ROMPERE IL RECINTO
La fine del governo Berlusconi e la nascita del governo Monti.
dal sito di SEL parte del discorso di Nichi all'Assemblea nazionale

Abbiamo scelto di non trasformare i giudizi divergenti in rottura a sinistra. Altre volte la divisione a sinistra, nell’analisi e nella strategia, ha aperto la strada alla destra.
L’Italia attende il processo di deberlusconizzazione della società e della politica.
Berlusconi e un’idea di gerarchia sociale, di precarizzazione del lavoro, di dequalificazione della formazione, di commercializzazione della cultura, di mercificazione della natura, di privatizzazione del patrimonio pubblico
Il berlusconismo come fenomenologia del costume: e qui occorre raccogliere la sfida di se non ora quando. Dobbiamo bonificare il territorio abitato dalla materia semantica, dai depositi di parole. Dobbiamo assumere conseguenze nette in termini di forme della politica e della democrazia: parità di genere è oggi un salto di qualità della rappresentanza pur nel gorgo di una crisi della nostra democrazia.
Non so come si possa parlare dell’attuale governo come di una primavera, non fosse che per quella fondativa distanza dall’idea di politica  (che produce ovviamente una pratica politica travestita da tecnica).
Al centro dell’azione di governo, così visibilmente sostenuta dal Quirinale, la necessità di fare cassa per coprire gli interessi sul debito pubblico, il consolidamento delle politiche di contrazione della spesa pubblica, la conferma di significative riduzioni di risorse per la formazione e la salute dei cittadini.
Oggi con il decreto sulle liberalizzazioni siamo difronte all’ennesima dimostrazione di come, non per cattiva volontà ma per una ragione di cultura e di natura del governo Monti , riesce facile colpire gli interessi dei corpi intermedi della società, magari colpendo anacronistici recinti di privilegio corporativo (senza strafare, che a questi ministri non difetta lo stile), ma non riuscendo mai a scalfire la struttura reale dei privilegio e della ricchezza. La settimana dell’equità è di sei giorni: il lunedì si innalza l’età pensionabile, il martedì di passa al contributivo, il mercoledì si estendono i settori in cui derogare dal contratto collettivo, il giovedì si limita il diritto di sciopero, il venerdì si teorizza la libertà di licenziamento, il sabato si aumenta il prezzo del gas, dell’elettricità, dell’acqua, della benzina, e alla domenica si fa un convegno sulla patrimoniale o sulla tobin tax.
Cos’è la crescita, cos’è la sostenibilità.
In generale, la montagna ha partorito un topolino. Ma molta enfasi propagandistica. Con queste liberalizzazioni avremo la crescita, usciremo dalla recessione, giungeremo in un anno al pareggio di bilancio? Sia concesso dubitarne.
Un nuovo modello di sviluppo, un investimento per le filiere della terra e del cibo (con le novità della Pac torna il latifondo e l’abbandono dell’economia agricola?)
Una giovane generazione in agricoltura. Ne possiamo parlare?
Innovazione, reti intelligenti, abbattimento del digital divide, economia della creatività.
Si può fare un piano Marshall per salvare e valorizzare il patrimonio culturale del Paese? Ma si può finalmente evocare il tema drammatico del reddito mentre le proiezioni sul Pil del corrente anno sono da brivido.
C’è un problema di continuità del reddito di chi lavora saltuariamente, precariamente, sottopagato. C’è un problema di reddito di inclusione per chi è prigioniero della marginalità. C’è un problema di reddito che garantisca l’esercizio dei fondamentali diritti di cittadinanza nonché la formazione al lavoro. C’è un problema di reddito sottratto, come nel caso del lavoro domestico non retribuito.
Ma c’è un problema anche di civiltà, se volete, in un Paese in cui centinaia di famiglie saranno buttate per strade, come alla Fiat di Pomigliano, perché i loro congiunti operai avevano in tasca la tessera della Fiom. Questo non è accettabile, non è più una rottura di relazioni industriali, è un buco nero nel nostro comune elaborare il sentimento della giustizia o dell’ingiustizia, della modernità o dell’oscurantismo.
Se il lavoro non torna a presidiare i luoghi della politica e se la politica non torna ad interrogare il luoghi del lavoro, la democrazia va in affanno. Perché la precarietà scortica vive le persone e la loro dignità. Ma ho trovato insopportabile che la discussione sul mercato del lavoro esordisse dall’infelice e caricaturale racconto di un mondo di lavoratori divisi in garantiti e precari, laddove per garantiti si intendeva qualcosa di proditorio e insano, come se la garanzia (quella di un contratto di lavoro stabile) fosse stata costruita derubando la persona precaria.
E quindi piuttosto che dare garanzie ai precari, si è pensato di precarizzare i garantiti.
Più o meno come ai tempi di Sacconi, al netto dello stile tardo-romantico dell’ex Ministro.
Torna la metafora dell’Isola del Giglio. Così è tutta l’Italia, preziosa e delicata, ricca e fragile, più visibile nei suoi strappi e nelle sue ferite che non nelle sue virtù civiche.
Il lavoro povero e il suo recinto proprietario, talvolta di natura mafiosa. Lo vediamo oggi nel controllo che Cosa Nostra ha di interi segmenti produttivi e professionali che protestano oggi in Sicilia la propria estraneità allo Stato ma anche, per tantissima gente, la propria disperazione sociale.
Come la cacciata ‘ndranghetista dalle campagne di Rosarno di 1200 africani, come i roghi camorristi dei campi nomadi nella periferia partenopea, come lo schiavismo che torna nelle forme del moderno caporalato.
Il razzismo come cultura della crisi e modello sociale. La strage fiorentina di senegalesi e il pogrom anti-rom di Torino.
Sono episodi che indicano un cambio di contesto, l’apertura di più di un varco alla legittimazione di culture della negazione e dell’intolleranza,
Accadono in un’Italia che, a Nord, nella evoluta e ricca Lombardia come nel più remoto sud calabrese, regala ai clan mafiosi pezzi di sovranità sui territori delle città, della politica, dell’economia.
Allora la giustizia sociale e un nuovo modello di sviluppo non sono solo la punta di diamante di una nuova filosofia del vivere con responsabilità e senso del limite, ma sono l’unica via di salvezza, l’alternativa al declino economico, la promessa di contrastare la paura con i diritti piuttosto che la minaccia di contrastare il diritto scivolando nella società della paura.

Una sinistra per vincere. Il Pd, Sel e Idv aprano il cantiere e si aprano alle domande di cambiamento. Un patto con le forze moderate? Non l’abbiamo escluso. Non ci siamo chiusi. Non abbiamo insultato, neppure per difenderci. Abbiamo semplicemente continuato a chiedere: e la sinistra? C’è spazio, c’è senso, c’è bisogno, qui, ora, in Europa, nel mondo, della sinistra? NO, non dico di una nostalgia. E neppure di un repertorio di narrazioni conchiuse e pedanti. Una bandiera è una politica che si fa speranza, una speranza di popolo che si fa politica (coalizione, programma, visione, linguaggio).
Cosa è stata l’ultima volta che ha vinto la sinistra? Era la prima che perdeva davvero, nel cuore della società, il Cavaliere. Con le amministrative e i referendum.
Ecco i sindaci del cambiamento. Mescolare le culture riformiste e quelle radicali.
Per rompere il recinto. Napoli e Milano, Cagliari e Bari, Bologna e L’Aquila sono le storie di sfide, di dolori liberati dall’omertà, di cambiamenti sgorgati da una lunga e faticosa educazione all’indignazione. I sindaci che calpestano i marciapiedi su cui ogni mattina masse crescenti di disperati presentano il conto dei banchetti a cui peraltro non hanno preso parte. I sindaci che capiscono che significa vivere in un Paese ( e in un modello di società) in cui può crollare un frammento di Pompei, mentre una ciclope delle crociere può fare capolino dalla laguna in Piazza San Marco, mentre se piove Genova galleggia nel fango e nella morte, mentre a Barletta può consumarsi (all’incrocio di tutte le più brutali contraddizioni del tempo che viviamo) la tragedia di una strage proletaria e femminile, mentre nelle campagne sempre meno coltivate si ammassano raccoglitori e datori di precarietà.
Una rete di laboratori urbani. Come la colonna vertebrale della coalizione del cambiamento. Non un quarto polo, ma il cantiere plurale del cambiamento. Dove a tutti viene chiesto solo di non proporsi come esclusivo intestatario di battaglie generali, magari con pose ideologiche ultraminoritarie e vocate alla sconfitta: direi che in Italia ci sono Milioni di italiani che si sentono protagonisti per la difesa dell’acqua pubblica.
Legge elettorale come risposta alla crisi democratica e non confezione dell’abito delle convenienze opportunistiche
Rompere il recinto, la barriera, la solitudine. Rompere la gabbia liberista e aprire un varco ai diritti, ai soggetti, ai desideri di socialità e di felicità’.

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