lunedì 25 novembre 2013

LUOGHI COMUNI - NOVEMBRE 2013

In questo numero: UN GOVERNO CHE NON SERVE - GOVERNARE IL TERRITORIO DELINEARE IL FUTURO - LA BANDA DEL BUCO - FESTAPERTA 2013 - FARE LAVORO A BUSSERO - CHI CI PROVA

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domenica 24 novembre 2013

IL TAGLIO SUI COMUNI

L’impatto della manovra economica del Governo sui Comuni


I dati illustrati nelle diapositive che potete facilmente consultare sono , di per sé, eloquenti.

https://docs.google.com/file/d/0B3WI9QkxdkDsVHNmakRBQk5MNEE/edit
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Il nostro Comune, al pari di tanti altri, è seriamente preoccupato del grado di sofferenza del tessuto sociale ed economico della propria comunità, ormai vicina ai limiti della tenuta sociale.
Una vera ripresa potrà esserci solo in presenza di un aumento dell’occupazione, del superamento dell’attuale precarietà che contraddistingue le giovani generazioni, nella possibilità di investimenti da parte dei Comuni con una rivisitazione radicale dell’attuale Patto di Stabilità Interno.

Come si evince dall’illustrazione, il comparto dei Comuni e degli Enti locali in generale è stato chiamato a contribuire al risanamento della finanza pubblica in modo particolarmente pesante in questi ultimi sei anni, con provvedimenti economico finanziari che hanno chiesto loro un contributo sproporzionato e di molto superiore all’importo che rappresentano all’interno della Pubblica Amministrazione (il 7,6% della spesa pubblica totale ed il 2,5% del debito totale del Paese).

Risulta incontestabile che le necessarie politiche nazionali di riduzione del debito dovrebbero essere concentrate anche sugli altri settori pubblici, a partire dallo Stato.
I Comuni possono seriamente contribuire alla ripresa economica, dando loro la possibilità dell’allentamento dei vincoli imposti dal Patto di Stabilità Interno che, di fatto, inibiscono oggi qualsiasi possibilità di sostenere le spese in conto capitale.

Oggi si assiste all’irresponsabile comportamento del Governo nei confronti degli Enti locale, che, ormai a fine anno, non sono in grado di onorare i propri impegni, risultandone, anzi, ulteriormente penalizzati.
Non c’è a tutt’oggi traccia del versamento della 2^ rata dell’IMU sulla 1^ casa. Per converso, a metà novembre, sono stati resi noti ulteriori tagli che, per il Comune di Bussero, ammontano a 325.000 euro. Se, poi, a tale importo si aggiungono i 288.000 euro della revisione di spesa («spending review»), il taglio complessivo per il 2013 supera i 600.000 euro!

Lascio al lettore ogni commento.

In una mozione che presenteremo al prossimo Consiglio comunale:
  • chiediamo al Governo di versarci i trasferimenti dovuti e di avere rispetto per i luoghi, come i Comuni, dove si misura la qualità della vita dei cittadini;
  • denunciamo il fatto che lo Stato, da un lato, ci toglie le risorse e, dall’altro, non ci dà la possibilità di operare secondo i principi di autonomia e responsabilità, penalizzando Comuni come quello di Bussero, impedendogli di spendere le disponibilità economiche già esistenti;
  • parteciperemo, assieme agli altri Comuni, alle iniziative che saranno intraprese a sostegno delle ragioni testé evidenziate.

Chissà se le nostre proteste saranno ascoltate, visto che c’è sempre pronto l’alibi del Governo: «Ce lo chiede l’Europa!».
Michele Sala
Assessore al Bilancio
Comune di Bussero

sabato 23 novembre 2013

UNA STABILITA' INSOSTENIBILE

"Se io fossi il presidente del consiglio e voi i ministri, il nostro sarebbe un governo caotico".
Questa è stata l'affermazione Roberto Romano, relatore all'incontro sulla manovra economica del governo, dopo aver ascoltato le domande espresse dai partecipanti a seguito della sua introduzione.
Questo apparente paradosso da il segno del successo dell'iniziativa promossa da Sinistra per Bussero e da SEL. Volevamo che fosse presentato un punto di vista sulla legge di stabilità e sulle possibili alternative, rifuggendo dalle facili recriminazioni di parte. Ascoltata la relazione e il dibattito del numeroso e partecipante pubblico, pensiamo di essere riusciti nell'intento: alla chiusura della serata ognuno di noi non ha tratto facili e superficiali certezze ma bensì ha acquisito informazioni ed elementi di analisi che stimolano ulteriori riflessioni e domande.
La relazione di Roberto Romano, economista collaboratore di ministri economici e docente universitario, ha dato numerosi spunti di riflessione, ne segnaliamo alcuni.
"La legge di stabilità approvata dal governo è inutile perché non sceglie né la distribuzione del reddito, né lo sviluppo, né il governo della spesa pubblica. Non solo. Con le misure restrittive sul pubblico impiego, le cessione di beni immobili e mobili dello stato, rinuncia al compito di guidare i processi di trasformazione dell’economia reale. "
"Da molti anni il Pil dell’Italia cresce meno di quello medio europeo, ormai stabilmente del meno 1%. L’effetto cumulato è di 16 punti percentuali tra il 2003 e il 2013, con una brusca riduzione a partire dal 2007 di 8 punti percentuali. Per dare un ordine di grandezza della crisi nella crisi dell’Italia, possiamo dire che il nostro paese ha perso per strada qualcosa come 240 miliardi di euro di minore crescita rispetto all’Europa."
"Gli effetti sull’occupazione, sul tessuto produttivo, sulla dinamica della spesa in consumi, financo nella distribuzione del reddito, è quello di aver fatto retrocedere il tenore di vita degli italiani ai livelli del 1992."
"I conti pubblici hanno sofferto della contrazione del Pil, anche perché costretti ad assorbire una parte del debito privato legato alle operazioni spericolate delle banche. Tutta la crescita del debito pubblico europeo di questi ultimi 5 anni è debito privato cattivo acquisito dagli Stati e fatto pagare a tutti."
"Nonostante la crescita del debito pubblico sia direttamente proporzionale alla ri-assicurazione del debito privato, la Commissione europea ha imposto delle misure di contenimento della spesa, quindi una riduzione della domanda aggregata, tale da aggravare la situazione economica e sociale dei paesi sottoposti a questi tagli delle spese e ulteriori forme di flessibilità del mercato. L’effetto è stato quello di comprimere la base imponibile, cioè il Pil, quindi di ridurre le entrate fiscali indipendentemente dall’aumento della pressione fiscale."
"Per la prima volta dalla nascita della repubblica italiana, la spesa pubblica è diminuita in valore. Quindi dobbiamo aspettarci meno servizi, meno stato sociale, meno spesa in conto capitale, meno dipendenti pubblici, con l’effetto di ridurre la domanda aggregata."
"Il provvedimento rivendicato dal governo come misura strategica, è quello legato alla riduzione del cuneo fiscale: per intenderci:  7 euro e 30 centesimi al mese per un lavoratore che guadagna 11.000 euro all’anno. Una beffa? Rimane l’errore economico di assegnare alla riduzione del cuneo fiscale le prospettive del rilancio economico.
Le misure per lo sviluppo sono poi da trovare, almeno che non si creda che la “riduzione” del costo del lavoro, il “risparmio” di imposta delle imprese pari a 5,6 mld di euro possano produrre un salto nei consumi delle famiglie e nella capacità di investimento delle imprese."
"La Spending Review si farà carico della programmazione del taglio al termine del suo lavoro. Ma sulla spending review occorre uscire dai luoghi comuni. Un conto è armonizzare la spesa pubblica via costi standard, un altro conto è aggredire la formazione della spesa pubblica. Oggi nel bilancio dello stato, ma non solo in quello dello stato, ci sono delle poste di spesa che hanno poco a che fare con i costi standard. La Spending Review ha senso nella misura in cui aggredisce la formazione della spesa.Una operazione complicata, ma eviterebbe di aggredire la spesa pubblica che sostiene lo stato sociale in senso generale e, probabilmente, migliorerebbe la spesa pubblica in senso generale."
Per ulteriori approfondimenti leggete qui.

martedì 12 novembre 2013

VERSO IL CONGRESSO DI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'

Un Congresso che dica della nostra utilità sociale e politica.

Nichi Vendola
La nostra discussione congressuale avrà un significato se saremo capaci di porre noi stessi di fronte alla crisi come costruttori di sentieri nuovi, di indicare la strada giusta che può portare l'Italia fuori dal declino in cui è imprigionata. Siamo oramai al disvelamento della natura profonda del blocco sociale, politico e culturale del berlusconismo. Per questo le larghe intese mostrano fino in fondo la loro miseria, la loro impossibilità. Sgombriamo il campo da un atteggiamento che può risultare del tutto ideologico dentro il passaggio che abbiamo di fronte: non è un peccato immaginare di poter costruire un compromesso con il proprio avversario. Un Paese che venga aggredito chiama naturalmente a raccolta tutte le sue forze e chiede, in uno stato di particolare eccezione, una convergenza verso la difesa e la tutela di ciò che appare il bene comune. Ma il presupposto di quel compromesso con il proprio avversario è la condivisione di un quadro minimo di valori e di principi. Per questa ragione le larghe intese sono risultate per noi, sin dall'inizio, uno scivolamento, un errore politico grave. Un errore politico non solo per gli interessi del centrosinistra. Prima ancora un errore politico per gli interessi del nostro Paese. E questo perché la natura del centrodestra come oggi si configura in Italia confligge con i fondamenti della nostra democrazia costituzionale. Se per Stato di diritto si intende un codice di immunità per chi esprime la sublime rappresentazione dei ceti possidenti, è del tutto evidente che siamo giunti ad una divaricazione profonda dei concetti fondativi del nostro vivere associato. Se la democrazia di un paese non si fonda sul primato della legge ma su quella del consenso e della sua possibile e infinita manipolazione tramite il controllo della produzione di immaginario, allora è evidente che siamo di fronte ad un modello di società e ad una idea di legge fondamentale del tutto antitetica a ciò che è custodito nella Carta Costituzionale del nostro Paese. Siamo giunti ad un conflitto che investe in pieno le regole della nostra convivenza democratica. Per questo voglio rivolgere un appello sincero al Partito Democratico affinché insieme possiamo assolvere ad un dovere nazionale. Per farlo occorre sgombrare il campo dalla presenza di un governo che si regge sulla innaturale alleanza con il blocco berlusconiano. Sciogliere l'attuale maggioranza di governo è un atto di igiene democratica, politica, istituzionale. Abbiamo bisogno di scongelare l'Italia, e con essa l'Europa, abbiamo bisogno di scongelare il conflitto. Fare questo significa difendere le ragioni della democrazia. E' tanto più necessario quanto più il dolore sociale che percorre l'intero Paese conduce in fretta verso il rischio di una gigantesca e virulenta regressione, antiparlamentare, antidemocratica.

Noi dunque siamo pronti al cambio di fase, a cominciare dalla riforma elettorale. L'attuale legge elettorale, dentro questa crisi sociale e democratica, dentro i punti di criticità che rimbalzano precipitosamente verso le istituzioni del Paese, può essere il varco per avventure reazionarie. Appare in questo quadro francamente tragicomica la scena di Beppe Grillo che il Porcellum oggi lo vuole per vincere le elezioni. Sembra di vivere un'epifania, di assistere ad una rivelazione: il populismo che pensa di usare il Porcellum, cioè un congegno elettorale costruito a misura di difesa e di tutela di un sistema di potere, come locomotiva a cui agganciare il treno della propria rivoluzione. Ecco perché diciamo che cambiare il sistema elettorale è oggi la primaria necessità democratica che abbiamo dinanzi a noi. Ecco perché proponiamo un governo di scopo che abbia questo specifico punto come obiettivo fondamentale. Insieme all'altra grande e urgente questione: una Legge di Stabilità che rappresenti un'inversione netta di tendenza rispetto alle politiche di austerity fin qui praticate, con insuccesso economico e devastazione sociale. Quindi, chiusura definitiva della penosa vertenza degli esodati; rifinanziamento degli ammortizzatori sociali; capovolgimento di segno del decreto sull'Imu.

Noi abbiamo il dovere, con questo congresso, di collocarci in maniera efficace dentro la crisi, qui e ora, riuscendo a fare due cose contemporaneamente: contribuire alla ricostruzione di un orizzonte di valori e non rinunciare all'esercizio quotidiano della politica. Sapendo che la politica è costruzione di reti, costruzione di pratiche sociali, costruzione di alleanze e di mediazioni, costruzione di equilibri e di avanzamenti. Vuol dire anche costruzione, nell'agenda della quotidianità, del principio di speranza, della sua possibilità di essere il cemento di una nuova sinistra. Capace di pensare l'Europa come mai è stata pensata finora. Penso che per fare queste due cose insieme, per essere contemporaneamente duttili sul piano della tattica e netti su quello dell'orizzonte strategico, abbiamo bisogno di una bussola che ci orienti. Dobbiamo dirlo con più forza, con più determinazione: la nostra bussola è la Costituzione Repubblicana. Dentro la crisi, le cosiddette riforme costituzionali, per come sono state pensate e proposte, rappresentano il terreno di un'operazione di ulteriore svuotamento della democrazia. Sono scritte sotto l'eterodirezione di un blocco sociale la cui ideologia tecnocratica prevede la riduzione della politica a puro simulacro di un potere esercitato da altri sovrani, distanti da ogni agire democratico. I sovrani di un capitalismo che ha dettato alla politica le regole dello sviluppo sociale. Urbanizzazione senza qualità, trasporto su gomma anziché su rotaia, edilizia povera e insieme energivora, città appesantite da barriere architettoniche e da continue fratture delle reti di comunità, abuso del consumo di suolo, abuso della chimica nelle campagne, inquinamento industriale spinto sino alla complicità con le eco-mafie. Un capitalismo del puro consumo senza produzione, del mercato senza regole, della ricchezza senza lavoro, del parassitismo sociale vestito con gli abiti del dinamismo magico dei consulenti finanziari e dei concitati eroi delle borse, dei giocatori d'azzardo che puntano le loro fiches scommettendo sui nostri risparmi e infine sulle nostre vite. Questo capitalismo, questo insieme di protagonisti e di forme sociali e di luoghi del potere, avrebbe bisogno di essere sottoposto ad un processo politico, ad un rito di passaggio dalla menzogna alla verità, per cui si possa finalmente dire che non è vero che l'Italia declina poiché il lavoro costa troppo ed è troppo tutelato. Il lavoro è sovraccarico di incombenze fiscali, il lavoro è troppo poco formato, il lavoro è troppo fragile nell'esercitare il diritto, è troppo sconnesso ai saperi e ai luoghi della ricerca, è separato dalle proprie finalità e confinato in una crescente dimensione economico-corporativa, il lavoro è segmentato per competenze fittizie, è ipotecato dal suo moderno destino di precarietà. Per questo la sua scarsità non può diventare l'alibi sociale per una fatalistica accettazione del lavoro come luogo sempre più povero di diritti e di reddito. La centralità del lavoro, la sua dignità, il suo peso simbolico e materiale sulla scena pubblica: solo questo può aprire la strada di una riforma del capitalismo e alimentare un processo virtuoso e reale di fuoriuscita dalla crisi. Oggi il lavoro intellettuale è sempre più mescolato al lavoro manuale e siamo finalmente di fronte alla crisi del paradigma scientista e insieme di una certa retorica umanistica, oggi si aprono piste di lavoro che guardano al superamento della frattura tra mondo della cognizione e mondo della manualità, si apre cioè la grande questione dell'unità del sapere. Il co-working, le start-up, le imprese innovative nell'economia della conoscenza, la green-economy, l'autoimpresa femminile e giovanile, il protagonismo imprenditoriale degli immigrati, le banche etiche, il microcredito, la produzione di servizi, l'economia della manutenzione degli eco sistemi urbani e l'economia della cura e della relazione, l'economia delle reti intelligenti, dei flussi di comunicazione sociale, della riqualificazione smart degli spazi e dei tempi del vivere associato: oggi tutto questo ci chiede di essere ascoltato, di essere visto, di essere interrogato con profondità. Perché indica un tentativo di fuga dallo stato delle cose presenti e apre al rapporto tra lavoro e futuro.

Questo rapporto riguarda l'Italia come riguarda tutta l'Europa. L'Europa aggredita dalla crisi sta diventando un continente povero di democrazia, mediocre nella sua visione del mondo, talvolta immemore delle sue tragedie. Europa bene comune, Europa smart, Europa libera dalle nevrosi identitarie che mettono in circolazione vecchi fantasmi come il nazionalismo, il razzismo, la xenofobia. Europa inclusiva, crocevia di diritti collettivi e individuali. Un luogo, un campo, che dà valore alla persona e rispetto e protagonismo al singolo individuo. Un continente sfibrato dalla guerra dei Trent'anni, quella che ha ferito a morte il lavoro e l'welfare, che ha combattuto il debito pubblico con il sadismo sociale e la miopia economica dell'austerity. Un continente complice delle guerre balcaniche, omertoso nei confronti dei regimi autocratici, incapaci di aprirsi alla Turchia. Soprattutto incapace di una relazione viva con quella sua radice multipla, terracquea, multiculturale che è il Mediterraneo.

Le elezioni europee sono la prima prova di credibilità dell'apriti Sel che insieme, collettivamente, dobbiamo praticare. E' una sfida per tutti noi e la dobbiamo esercitare mentre irrobustiamo i nostri colloqui culturali e politici con i Verdi europei, con la Sinistra Europea, con tutta la costellazione di movimenti e soggetti che sono stati al di fuori della famiglia della Socialdemocrazia europea. Mentre scegliamo come un campo largo il Partito del Socialismo Europeo non come approdo ideologico bensì come luogo nel quale contribuire a far crescere le contraddizioni fondamentali. L'Europa vede la sinistra globalmente sconfitta e perdente dopo trent'anni di simbiosi innaturale con il liberismo, dai paesi scandinavi alla sua dimensione mediterranea. L'Europa continentale, l'Europa della costa, l'Europa che perde ovunque, e il socialismo, la socialdemocrazia, il laburismo, cioè le forze fondamentali della sinistra in Europa, avvitate nelle proprie crisi, chiuse dentro le proprie contraddizioni. Qui, dentro questo campo in costruzione dell'Europa e della sinistra, si misura la sfida dell'aprirsi di Sinistra Ecologia Libertà all'attraversamento di domande, di culture, di contraddizioni. E qui è anche il nodo del rapporto con tra noi e il Partito Democratico. Il Partito Democratico non è il nostro destino, non è il nostro male oscuro. E' il nostro alleato quando c'è credibilmente lo spazio dell'alleanza. 
E l'alleanza non è mai la nostra prigione, perché l'orizzonte del governo non è la nostra capitolazione, né la perdita dell'innocenza. Dobbiamo chiederci: qual è la nostra utilità? Utilità sociale, utilità politica. In genere le domande che ci facciamo sono altre, sono domande esistenziali: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Sono domande interessanti per noi, un po' meno per chi è fuori, per chi è disincantato, per chi è smarrito, per chi è disperato, per chi non ha interesse più, per chi non crede più. Qual è allora la nostra utilità sociale? La nostra carta di identità è nelle cose che diciamo o nelle cose che facciamo e nel come le facciamo? Il congresso può essere un punto di rilancio di questa nostra ricerca. L'apertura deve diventare un costume collettivo, una mentalità e una prassi. Anche la risposta al bisogno di reciprocità, di nuovi legami sociali, di solidarietà. Abbiamo scelto una citazione, all'inizio del documento, un documento aperto, da arricchire con la nostra discussione collettiva. La citazione di quella doppia fedeltà di cui parla Albert Camus: la fedeltà alla bellezza e la fedeltà verso gli umili. Se ci pensiamo, quella frase ha il potere di cucire tutte le suggestioni con cui abbiamo scritto questo documento per il congresso. Fedeltà alla bellezza e fedeltà verso gli umili. Non è molto diverso da quello che chiedono le persone disperate dentro questa crisi.