Un Congresso che dica della nostra utilità sociale e politica.
Nichi Vendola
La nostra discussione congressuale avrà un significato se saremo capaci di porre noi stessi di fronte alla crisi come
costruttori di sentieri nuovi, di indicare la strada giusta che può portare l'Italia fuori dal declino in cui è imprigionata.
Siamo oramai al disvelamento della natura profonda del blocco sociale, politico e culturale del berlusconismo. Per
questo le larghe intese mostrano fino in fondo la loro miseria, la loro impossibilità. Sgombriamo il campo da un
atteggiamento che può risultare del tutto ideologico dentro il passaggio che abbiamo di fronte: non è un peccato
immaginare di poter costruire un compromesso con il proprio avversario. Un Paese che venga aggredito chiama
naturalmente a raccolta tutte le sue forze e chiede, in uno stato di particolare eccezione, una convergenza verso la
difesa e la tutela di ciò che appare il bene comune. Ma il presupposto di quel compromesso con il proprio avversario è la
condivisione di un quadro minimo di valori e di principi. Per questa ragione le larghe intese sono risultate per noi, sin
dall'inizio, uno scivolamento, un errore politico grave. Un errore politico non solo per gli interessi del centrosinistra. Prima
ancora un errore politico per gli interessi del nostro Paese. E questo perché la natura del centrodestra come oggi si
configura in Italia confligge con i fondamenti della nostra democrazia costituzionale. Se per Stato di diritto si intende un
codice di immunità per chi esprime la sublime rappresentazione dei ceti possidenti, è del tutto evidente che siamo giunti
ad una divaricazione profonda dei concetti fondativi del nostro vivere associato. Se la democrazia di un paese non si
fonda sul primato della legge ma su quella del consenso e della sua possibile e infinita manipolazione tramite il controllo
della produzione di immaginario, allora è evidente che siamo di fronte ad un modello di società e ad una idea di legge
fondamentale del tutto antitetica a ciò che è custodito nella Carta Costituzionale del nostro Paese. Siamo giunti ad un
conflitto che investe in pieno le regole della nostra convivenza democratica. Per questo voglio rivolgere un appello
sincero al Partito Democratico affinché insieme possiamo assolvere ad un dovere nazionale. Per farlo occorre
sgombrare il campo dalla presenza di un governo che si regge sulla innaturale alleanza con il blocco berlusconiano.
Sciogliere l'attuale maggioranza di governo è un atto di igiene democratica, politica, istituzionale. Abbiamo bisogno di
scongelare l'Italia, e con essa l'Europa, abbiamo bisogno di scongelare il conflitto. Fare questo significa difendere le
ragioni della democrazia. E' tanto più necessario quanto più il dolore sociale che percorre l'intero Paese conduce in fretta
verso il rischio di una gigantesca e virulenta regressione, antiparlamentare, antidemocratica.
Noi dunque siamo pronti al cambio di fase, a cominciare dalla riforma elettorale. L'attuale legge elettorale, dentro questa
crisi sociale e democratica, dentro i punti di criticità che rimbalzano precipitosamente verso le istituzioni del Paese, può
essere il varco per avventure reazionarie. Appare in questo quadro francamente tragicomica la scena di Beppe Grillo che
il Porcellum oggi lo vuole per vincere le elezioni. Sembra di vivere un'epifania, di assistere ad una rivelazione: il
populismo che pensa di usare il Porcellum, cioè un congegno elettorale costruito a misura di difesa e di tutela di un
sistema di potere, come locomotiva a cui agganciare il treno della propria rivoluzione. Ecco perché diciamo che cambiare
il sistema elettorale è oggi la primaria necessità democratica che abbiamo dinanzi a noi. Ecco perché proponiamo un
governo di scopo che abbia questo specifico punto come obiettivo fondamentale. Insieme all'altra grande e urgente
questione: una Legge di Stabilità che rappresenti un'inversione netta di tendenza rispetto alle politiche di austerity fin qui
praticate, con insuccesso economico e devastazione sociale. Quindi, chiusura definitiva della penosa vertenza degli
esodati; rifinanziamento degli ammortizzatori sociali; capovolgimento di segno del decreto sull'Imu.
Noi abbiamo il dovere, con questo congresso, di collocarci in maniera efficace dentro la crisi, qui e ora, riuscendo a fare
due cose contemporaneamente: contribuire alla ricostruzione di un orizzonte di valori e non rinunciare all'esercizio
quotidiano della politica. Sapendo che la politica è costruzione di reti, costruzione di pratiche sociali, costruzione di alleanze e di mediazioni, costruzione di equilibri e di avanzamenti. Vuol dire anche costruzione, nell'agenda della
quotidianità, del principio di speranza, della sua possibilità di essere il cemento di una nuova sinistra. Capace di pensare
l'Europa come mai è stata pensata finora. Penso che per fare queste due cose insieme, per essere
contemporaneamente duttili sul piano della tattica e netti su quello dell'orizzonte strategico, abbiamo bisogno di una
bussola che ci orienti. Dobbiamo dirlo con più forza, con più determinazione: la nostra bussola è la Costituzione
Repubblicana. Dentro la crisi, le cosiddette riforme costituzionali, per come sono state pensate e proposte,
rappresentano il terreno di un'operazione di ulteriore svuotamento della democrazia. Sono scritte sotto l'eterodirezione di
un blocco sociale la cui ideologia tecnocratica prevede la riduzione della politica a puro simulacro di un potere esercitato
da altri sovrani, distanti da ogni agire democratico. I sovrani di un capitalismo che ha dettato alla politica le regole dello
sviluppo sociale. Urbanizzazione senza qualità, trasporto su gomma anziché su rotaia, edilizia povera e insieme
energivora, città appesantite da barriere architettoniche e da continue fratture delle reti di comunità, abuso del consumo
di suolo, abuso della chimica nelle campagne, inquinamento industriale spinto sino alla complicità con le eco-mafie. Un
capitalismo del puro consumo senza produzione, del mercato senza regole, della ricchezza senza lavoro, del
parassitismo sociale vestito con gli abiti del dinamismo magico dei consulenti finanziari e dei concitati eroi delle borse,
dei giocatori d'azzardo che puntano le loro fiches scommettendo sui nostri risparmi e infine sulle nostre vite. Questo
capitalismo, questo insieme di protagonisti e di forme sociali e di luoghi del potere, avrebbe bisogno di essere sottoposto
ad un processo politico, ad un rito di passaggio dalla menzogna alla verità, per cui si possa finalmente dire che non è
vero che l'Italia declina poiché il lavoro costa troppo ed è troppo tutelato. Il lavoro è sovraccarico di incombenze fiscali, il
lavoro è troppo poco formato, il lavoro è troppo fragile nell'esercitare il diritto, è troppo sconnesso ai saperi e ai luoghi
della ricerca, è separato dalle proprie finalità e confinato in una crescente dimensione economico-corporativa, il lavoro è
segmentato per competenze fittizie, è ipotecato dal suo moderno destino di precarietà. Per questo la sua scarsità non
può diventare l'alibi sociale per una fatalistica accettazione del lavoro come luogo sempre più povero di diritti e di reddito.
La centralità del lavoro, la sua dignità, il suo peso simbolico e materiale sulla scena pubblica: solo questo può aprire la
strada di una riforma del capitalismo e alimentare un processo virtuoso e reale di fuoriuscita dalla crisi. Oggi il lavoro
intellettuale è sempre più mescolato al lavoro manuale e siamo finalmente di fronte alla crisi del paradigma scientista e
insieme di una certa retorica umanistica, oggi si aprono piste di lavoro che guardano al superamento della frattura tra
mondo della cognizione e mondo della manualità, si apre cioè la grande questione dell'unità del sapere. Il co-working, le
start-up, le imprese innovative nell'economia della conoscenza, la green-economy, l'autoimpresa femminile e giovanile, il
protagonismo imprenditoriale degli immigrati, le banche etiche, il microcredito, la produzione di servizi, l'economia della
manutenzione degli eco sistemi urbani e l'economia della cura e della relazione, l'economia delle reti intelligenti, dei
flussi di comunicazione sociale, della riqualificazione smart degli spazi e dei tempi del vivere associato: oggi tutto questo
ci chiede di essere ascoltato, di essere visto, di essere interrogato con profondità. Perché indica un tentativo di fuga dallo
stato delle cose presenti e apre al rapporto tra lavoro e futuro.
Questo rapporto riguarda l'Italia come riguarda tutta l'Europa. L'Europa aggredita dalla crisi sta diventando un continente povero di democrazia, mediocre nella sua visione del mondo, talvolta immemore delle sue tragedie. Europa bene comune, Europa smart, Europa libera dalle nevrosi identitarie che mettono in circolazione vecchi fantasmi come il nazionalismo, il razzismo, la xenofobia. Europa inclusiva, crocevia di diritti collettivi e individuali. Un luogo, un campo, che dà valore alla persona e rispetto e protagonismo al singolo individuo. Un continente sfibrato dalla guerra dei Trent'anni, quella che ha ferito a morte il lavoro e l'welfare, che ha combattuto il debito pubblico con il sadismo sociale e la miopia economica dell'austerity. Un continente complice delle guerre balcaniche, omertoso nei confronti dei regimi autocratici, incapaci di aprirsi alla Turchia. Soprattutto incapace di una relazione viva con quella sua radice multipla, terracquea, multiculturale che è il Mediterraneo.
Le elezioni europee sono la prima prova di credibilità dell'apriti Sel che insieme, collettivamente, dobbiamo praticare. E' una sfida per tutti noi e la dobbiamo esercitare mentre irrobustiamo i nostri colloqui culturali e politici con i Verdi europei, con la Sinistra Europea, con tutta la costellazione di movimenti e soggetti che sono stati al di fuori della famiglia della Socialdemocrazia europea. Mentre scegliamo come un campo largo il Partito del Socialismo Europeo non come approdo ideologico bensì come luogo nel quale contribuire a far crescere le contraddizioni fondamentali. L'Europa vede la sinistra globalmente sconfitta e perdente dopo trent'anni di simbiosi innaturale con il liberismo, dai paesi scandinavi alla sua dimensione mediterranea. L'Europa continentale, l'Europa della costa, l'Europa che perde ovunque, e il socialismo, la socialdemocrazia, il laburismo, cioè le forze fondamentali della sinistra in Europa, avvitate nelle proprie crisi, chiuse dentro le proprie contraddizioni. Qui, dentro questo campo in costruzione dell'Europa e della sinistra, si misura la sfida dell'aprirsi di Sinistra Ecologia Libertà all'attraversamento di domande, di culture, di contraddizioni. E qui è anche il nodo del rapporto con tra noi e il Partito Democratico. Il Partito Democratico non è il nostro destino, non è il nostro male oscuro. E' il nostro alleato quando c'è credibilmente lo spazio dell'alleanza.
E l'alleanza non è mai la nostra prigione, perché l'orizzonte del governo non è la nostra capitolazione, né la perdita dell'innocenza. Dobbiamo chiederci: qual è la nostra utilità? Utilità sociale, utilità politica. In genere le domande che ci facciamo sono altre, sono domande esistenziali: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Sono domande interessanti per noi, un po' meno per chi è fuori, per chi è disincantato, per chi è smarrito, per chi è disperato, per chi non ha interesse più, per chi non crede più. Qual è allora la nostra utilità sociale? La nostra carta di identità è nelle cose che diciamo o nelle cose che facciamo e nel come le facciamo? Il congresso può essere un punto di rilancio di questa nostra ricerca. L'apertura deve diventare un costume collettivo, una mentalità e una prassi. Anche la risposta al bisogno di reciprocità, di nuovi legami sociali, di solidarietà. Abbiamo scelto una citazione, all'inizio del documento, un documento aperto, da arricchire con la nostra discussione collettiva. La citazione di quella doppia fedeltà di cui parla Albert Camus: la fedeltà alla bellezza e la fedeltà verso gli umili. Se ci pensiamo, quella frase ha il potere di cucire tutte le suggestioni con cui abbiamo scritto questo documento per il congresso. Fedeltà alla bellezza e fedeltà verso gli umili. Non è molto diverso da quello che chiedono le persone disperate dentro questa crisi.
Questo rapporto riguarda l'Italia come riguarda tutta l'Europa. L'Europa aggredita dalla crisi sta diventando un continente povero di democrazia, mediocre nella sua visione del mondo, talvolta immemore delle sue tragedie. Europa bene comune, Europa smart, Europa libera dalle nevrosi identitarie che mettono in circolazione vecchi fantasmi come il nazionalismo, il razzismo, la xenofobia. Europa inclusiva, crocevia di diritti collettivi e individuali. Un luogo, un campo, che dà valore alla persona e rispetto e protagonismo al singolo individuo. Un continente sfibrato dalla guerra dei Trent'anni, quella che ha ferito a morte il lavoro e l'welfare, che ha combattuto il debito pubblico con il sadismo sociale e la miopia economica dell'austerity. Un continente complice delle guerre balcaniche, omertoso nei confronti dei regimi autocratici, incapaci di aprirsi alla Turchia. Soprattutto incapace di una relazione viva con quella sua radice multipla, terracquea, multiculturale che è il Mediterraneo.
Le elezioni europee sono la prima prova di credibilità dell'apriti Sel che insieme, collettivamente, dobbiamo praticare. E' una sfida per tutti noi e la dobbiamo esercitare mentre irrobustiamo i nostri colloqui culturali e politici con i Verdi europei, con la Sinistra Europea, con tutta la costellazione di movimenti e soggetti che sono stati al di fuori della famiglia della Socialdemocrazia europea. Mentre scegliamo come un campo largo il Partito del Socialismo Europeo non come approdo ideologico bensì come luogo nel quale contribuire a far crescere le contraddizioni fondamentali. L'Europa vede la sinistra globalmente sconfitta e perdente dopo trent'anni di simbiosi innaturale con il liberismo, dai paesi scandinavi alla sua dimensione mediterranea. L'Europa continentale, l'Europa della costa, l'Europa che perde ovunque, e il socialismo, la socialdemocrazia, il laburismo, cioè le forze fondamentali della sinistra in Europa, avvitate nelle proprie crisi, chiuse dentro le proprie contraddizioni. Qui, dentro questo campo in costruzione dell'Europa e della sinistra, si misura la sfida dell'aprirsi di Sinistra Ecologia Libertà all'attraversamento di domande, di culture, di contraddizioni. E qui è anche il nodo del rapporto con tra noi e il Partito Democratico. Il Partito Democratico non è il nostro destino, non è il nostro male oscuro. E' il nostro alleato quando c'è credibilmente lo spazio dell'alleanza.
E l'alleanza non è mai la nostra prigione, perché l'orizzonte del governo non è la nostra capitolazione, né la perdita dell'innocenza. Dobbiamo chiederci: qual è la nostra utilità? Utilità sociale, utilità politica. In genere le domande che ci facciamo sono altre, sono domande esistenziali: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Sono domande interessanti per noi, un po' meno per chi è fuori, per chi è disincantato, per chi è smarrito, per chi è disperato, per chi non ha interesse più, per chi non crede più. Qual è allora la nostra utilità sociale? La nostra carta di identità è nelle cose che diciamo o nelle cose che facciamo e nel come le facciamo? Il congresso può essere un punto di rilancio di questa nostra ricerca. L'apertura deve diventare un costume collettivo, una mentalità e una prassi. Anche la risposta al bisogno di reciprocità, di nuovi legami sociali, di solidarietà. Abbiamo scelto una citazione, all'inizio del documento, un documento aperto, da arricchire con la nostra discussione collettiva. La citazione di quella doppia fedeltà di cui parla Albert Camus: la fedeltà alla bellezza e la fedeltà verso gli umili. Se ci pensiamo, quella frase ha il potere di cucire tutte le suggestioni con cui abbiamo scritto questo documento per il congresso. Fedeltà alla bellezza e fedeltà verso gli umili. Non è molto diverso da quello che chiedono le persone disperate dentro questa crisi.
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