domenica 3 agosto 2014

RENZI DOVE VAI

                Da "la Repubblica" 3 agosto 2014
                di Eugenio Scalfari
Matteo Renzi vuole mettere il Senato nelle mani dei Consigli regionali. Sarebbe molto meglio abolirlo che affidarne il simulacro alla classe politica più mediocre e più corrotta che vi sia nel nostro Paese.
Personalmente vorrei che il Senato rinunciasse al potere di dare o negare la fiducia al governo ma conservasse tutti gli altri poteri inerenti al Legislativo e i suoi membri, ridotti di numero come possibilmente dovrebbe farsi anche per la Camera dei deputati, continuassero a essere eletti dal popolo sovrano.
Ma se questi obiettivi sono impediti dall'alleanza Renzi-Berlusconi, allora aboliamolo e basta.
Renzi dovrebbe essere contento perché il suo vero obiettivo è il Monocamerale. Avete qualcosa contro il Monocamerale? Io no. C'è quasi in tutta Europa, a cominciare dalla Gran Bretagna che è la patria della democrazia.
Il Monocamerale però rafforza notevolmente il potere Esecutivo, quindi ci vogliono contrappesi numerosi altrimenti il pericolo d'un governo autoritario si profila inevitabilmente.
La battaglia al Senato gli sta riservando qualche sgradevole sorpresa, ma il progetto non cambia salvo qualche adattamento di facciata.
La proposta più recente riguarda l'introduzione delle preferenze nella legge elettorale. È una concessione importante alla libertà di scelta degli elettori? Affatto.
I "raccomandati" saranno sicuri dell'elezione come capilista, gli altri risveglieranno le lobby di tutta Italia, mafie comprese. Il nostro non è un Paese da preferenze. Il solo vero sistema accettabile è il collegio uninominale, con ballottaggio dei primi due, ma nessuno ci pensa più in questo strano Paese.
La classe dirigente pensa ai propri interessi, la gente è indifferente, della riforma del Senato e della legge elettorale non gliene importa niente come del resto non importa niente neppure all'Europa. È un gioco tutto italiano, e il circuito mediatico lo moltiplica. Ci si accapiglia sul nulla, ma dietro a quel nulla ci sono progetti di potere coltivati con grande abilità.

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L'economia non va affatto bene. Questa settimana l'hanno dichiarato esplicitamente il ministro Pier Carlo Padoan e anche Renzi, le cifre fornite dall'Istat sull'occupazione e sull'andamento del debito e del Pil lo confermano; quelle della Svimez danno un quadro di disperazione per l'andamento del Mezzogiorno. Infine il commissario alla spending review Carlo Cottarelli l'ha messo nero su bianco: il governo vuole spendere in lavori pubblici cifre che non ha e che pensa di ricavare dai tagli sulle spese. In teoria quei tagli - che per ora sono solo teorici - dovrebbero servire a diminuire la pressione fiscale e non a finanziare altre spese.
In una conferenza stampa di giovedì scorso il presidente del Consiglio ha garantito che gli ottanta euro di bonus, pagato a partire dal maggio scorso ai lavoratori con redditi da otto a venticinquemila euro all'anno, saranno pagati anche nel 2015, mentre non saranno estesi ai poveri, esenti dall'imposta personale sul reddito (Irpef).
Questa esclusione conferma le difficoltà finanziarie che sono il vero problema del governo, ma i giornali non hanno colto a sufficienza un altro dato estremamente significativo: il bonus di ottanta euro doveva servire a rilanciare i consumi e quindi ravvivare la domanda. Invece non è accaduto nulla, i consumi sono fermi e in certi settori sono addirittura in diminuzione.
L'operazione ottanta euro è dunque fallita (come avevamo previsto quando fu annunciata) e rivela ora la vera ragione per la quale fu fatta: suscitare simpatia elettorale a favore del Partito democratico renziano.
Da quel punto di vista il risultato c'è stato alle elezioni europee del 25 maggio; le sbandierate finalità economiche sono invece miseramente fallite; molto meglio sarebbe stato destinare i 10 miliardi (tanto è costata l'operazione) ad una diminuzione dell'Irap in favore delle imprese: avrebbe accresciuto gli investimenti e forse avrebbe contribuito ad una ripresa della produzione industriale con conseguenze positive sull'occupazione. Anche questo era stato suggerito, ma naturalmente non fu ascoltato.

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