martedì 29 ottobre 2013

BASTA INIQUITÀ SULLE PENSIONI

fonte: LiberEtà-Antonio Pellegrino

Nei prossimi dieci anni solo per il blocco della perequazione le casse statali incasseranno circa ottanta miliardi di euro. Qualcosa deve essere restituita ai pensionati e ai lavoratori per ridare al sistema previdenziale equità e solidarietà. 

Ogni giorno, per le ragioni più diverse, si pensa di mettere le mani sulle pensioni. Si spende troppo, c’è la crisi: sono le frasi più ricorrenti che sentiamo dire. Il risultato è che negli ultimi vent’anni il sistema previdenziale è cambiato più volte, generando ansia e preoccupazione tra i pensionati e i lavoratori.
Ogni volta che è stato messo mano al sistema sono state dette tante cose, molte non vere.
Mettiamo un po’ d’ordine.

Rispetto ai principali paesi europei, la spesa pensionistica italiana in rapporto al Pil è sovrastimata di circa il 3 per cento, senza contare che i pensionati italiani pagano più tasse che in altri paesi. La spesa sociale italiana pro capite è inferiore di circa il 20 per cento a quella media dell’Europa. Due verità che non fanno parte del senso comune. Al contrario, nonostante i tagli ingenti degli ultimi anni, si continua a sostenere che bisogna intervenire sulle pensioni perché in Italia si spende troppo.

I pensionati hanno contribuito al risanamento più di chiunque altro. Il blocco della perequazione applicata alle pensioni di 1.443 euro, dal 2013, e per ogni anno futuro, ridurrà la spesa di 8,6 miliardi di euro. Circa 5.500.000 di pensionati perderanno mediamente ogni anno 1.500 euro. Sempre nel 2012 e 2013, il drenaggio fiscale, l’imposta causata dall’inflazione, ha portato nel bilancio dello Stato altri 3,6 miliardi di euro. Si tratta di un prelievo occulto, che aumenta con l’inflazione. Lo Stato in due anni ha incassato dai pensionati 12,2 miliardi, una cifra enorme che non trova riscontri in altre categorie. Il blocco della perequazione proseguirà anche nel 2014, sia pure per la sola quota di pensione superiore a 2.973 euro, e già si parla del 2015, anno da cui dovrebbe partire una modifica al meccanismo di perequazione per rendere strutturali i tagli anche per gli anni futuri.

Poi c’è il fisco. I pensionati pagano un’imposta più elevata: le detrazioni applicate al loro reddito sono più basse di quelle riconosciute al lavoro dipendente. Senza contare i quasi cinque milioni d’incapienti, persone con un reddito troppo basso per beneficiare delle detrazioni. Infine, occorre considerare l’imposizione locale. A fronte dei tagli ai trasferimenti statali, Regioni e Comuni hanno aumentato notevolmente le addizionali Irpef. Negli ultimi venti anni la percentuale delle entrate locali sul totale è aumentata dal 5,5 per cento del 1990 al 15,9 per cento del 2012, un quasi raddoppio (+189%). Nel 2013, solo per le addizionali, una pensione di mille euro ne versa in un anno 162 se vive a Milano e 342 se vive a Roma. Altro che privilegiati. La verità è che si interviene sulle pensioni di oggi perché troppo alte rispetto a quelle attese per il futuro. Basterebbe rileggersi le dichiarazioni della dottoressa Fornero, prima di diventare ministro, quando si disse d’accordo coi provvedimenti di Tremonti, e dell’ex sottosegretario Polillo quando ha giustificato la deindicizzazione delle pensioni.

La nostra idea di equità. Secondo noi la riforma Fornero deve essere rivista nei punti più controversi e odiosi. Non bisogna rassegnarsi all’idea che i lavoratori di oggi siano destinati a un futuro di povertà. È in gioco lo stato sociale tutto, non soltanto delle pensioni.
Ora bisogna dire basta! Nei prossimi dieci anni solo per il blocco della perequazione le casse statali incasseranno circa ottanta miliardi di euro. Qualcosa deve essere restituita ai pensionati e ai lavoratori per ridare al sistema previdenziale equità e solidarietà.

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