martedì 23 settembre 2014

CAMBIAMENTO: INNOVAZIONE O RESTAURAZIONE?

Diamo un senso ai termini.
Ancora una volta i diritti dei lavoratori sono sotto attacco da chi ha governato e governa l'Europa e che è responsabile della crisi finanziaria, economica e produttiva più duratura mai registrata nel continente e di una disoccupazione di massa sopratutto giovanile.
Le “terapie” propinate dai fautori del neo liberismo economico e del neo liberalismo come idea per ridisegnare in radice l’idea di mondo e dello stare al mondo, sono il rigore e l'austerità senza sviluppo che hanno prodotto l'attuale recessione.
Per uscirne ancora si insiste nel voler colpire le regole sul rapporto di lavoro per recuperare competitività, tagliare tutto il tagliabile, non guadare in faccia nessuno nelle politiche pubbliche.
Neo liberismo e neo liberalismo stanno insieme e insieme colpiscono sul piano politico, con la conquista del potere da parte delle forze neo liberiste, su quello economico, con il trionfo della finanziarizzazione globale del capitalismo, su quello sociale, con la frammentazione e l’individualizzazione dei rapporti sociali, la rottura di ogni vincolo di solidarietà e soprattutto la crescita di una gigantesca forbice di ricchezza tra chi possiede tutto e chi poco o niente.
Renzi è il presidente di turno, come i precedenti, che deve mettere a posto i conti in Italia.
Sta imboccando una strada che si allontana dal costituzionalismo democratico che mise strettamente insieme le idee della democrazia politica con quelle della democrazia sociale, i diritti sociali con quelli del lavoro, la dignità della persona nella sua individualità con quella del cittadino e poi pure con difficoltà anche della cittadina, nei suoi rapporti sociali, compresi quelli col luogo di lavoro.
Non ci si può illudere che se si imbocca la strada del taglio dei diritti si possano ottenere mediamente più diritti per tutti.
Nonostante la smisurata precarizzazione del rapporto di lavoro stiamo toccando i livelli massimi di disoccupazione.
Le diseguaglianze attuali sono frutto di scelte ideologiche, politiche e economiche di chi ora chiede meno diritti ed è utopistico che assecondandoli oggi si possano ottenere maggiori garanzie diffuse.
All'Italia viene chiesto di togliere di mezzo alcuni meccanismi di tutela del lavoro, l’articolo 18 in primis, e anche quelli che presiedono alla formazione e alla percorrenza di salari e stipendi. E c’è da tagliare robustamente comparti essenziali dello stato sociale.
Questo cambiamento non è innovazione ma semplicemente restaurazione antecedente le conquiste democratiche.
L’articolo 18 non è sotto tiro per quel che ancora vale oggi, ma perché è il simbolo di qualcosa, che alle élites europee, ammalate di neo liberismo, proprio non va giù, lo si agita da parte del premier italiano come un capro espiatorio finalmente da sacrificare.
Bisognerebbe che qualcuno cambi lo schema, ridisegni un nuovo blocco sociale e dicesse parliamo dell'articolo 18, ma se ne serva per costruire un nuovo spazio politico di proposta e iniziativa che rimetta al centro, in stretta connessione, la questione dei diritti sociali e quella della ripresa economica: reddito, lavoro e sua qualità, occupazione.
Partano subito misure concrete per chi non ha il lavoro, per i giovani soprattutto, per chi lo perde e non sa dove sbattere la testa; si immagini e costruisca una nuova modalità di tutela e aiuto della vita materiale di donne e uomini, una nuova tavola dei diritti, una nuova idea della dignità del lavoro; si rilancino gli investimenti, i consumi interni e si combatta la deflazione, perché solo così si potranno creare le condizioni per rilanciare l’occupazione e riprendere la via della crescita.

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