martedì 21 luglio 2009

MAI PIU' CONDONI. DOPO IL PROSSIMO

m.s.

Il tormentone dell’evasione: è da sempre che se ne sente parlare, senza costrutto. Tanto da sollevare quesiti inquietanti. Non è che sia una malattia congenita dell’Italia, che non ammette guarigione, ma solo assuefazione? Con la crisi, poi, non sarebbe meglio chiudere un occhio e dare questo aiuto indiretto alle imprese? No, afferma deciso il governatore della Banca d’Italia, con parole convincenti. L’economia irregolare, stimata in 230 miliardi di euro, oltre il 15 per cento del Pil, "accresce l’onere imposto ai contribuenti ligi al dovere fiscale, è un fattore che riduce la competitività di larga parte delle imprese, determina iniquità e disarticola il tessuto sociale. Progressi nel contrasto alle attività irregolari consentirebbero di ridurre le aliquote legali, diminuendo distorsioni e ingiustizie". Ma come fare? Qui, il governatore diventa reticente, per non essere accusato di invadere la sfera governativa e si limita a invocare "semplificazione normativa ed efficacia dell’azione pubblica".



CHI HA CANCELLATO LA TRACCIABILITÀ?
Il ministro Tremonti confida molto nel federalismo fiscale.I comuni, infatti, saranno interessati a scoprire l’evasione; e non solo sui tributi propri, ma anche sui tributi statali a cui applicano addizionali. Senza contare che da alcuni anni vige la regola, introdotta dallo stesso ministro, che assegna ai comuni un premio pari al 30 per cento del gettito statale derivante dall’evasione scoperta con il loro aiuto. In effetti, sono osservazioni e misure corrette. Ma non c’è da attendersi molto. Non tanto perché il federalismo fiscale è per ora solo annunciato, quanto perché nella sfera già significativa di autonomia tributaria locale i comuni non hanno fatto granché contro l’evasione. E adesso l’abolizione dell’Ici sulla prima casa ne ha ridotto lo slancio nel campo specifico dell’imposizione sugli immobili. Al di fuori di questo campo, su cui possono indagare con successo, c’è il costo di un nuovo apparato locale di controllo, che dissuade molti comuni dall’agire, perché il gioco non vale la candela. Infine, c’è il fatto che le indagini più promettenti sono quelle svolte sulle imprese, con controlli dei flussi delle merci e del denaro e con analisi fisiche e contabili, incrociando varie banche dati del settore pubblico e del mondo finanziario: tutte attività che solo l’Agenzia delle entrate e la Guardia di finanza possono svolgere.
È quindi sul fronte nazionale e non su quello locale che si svolge la partita più impegnativa. E poiché rafforzare gli organi di controllo costa, la politica migliore sta nel rendere più efficace la loro attività, in modo che a parità di ore di lavoro, possano scoprire di più. Il discorso torna allora sulla tracciabilità dei flussi e sulle misure che Vincenzo Visco aveva introdotto e che Giulio Tremonti, appena tornato in carica, si affrettò ad abolire: obbligo degli elenchi clienti e fornitori e rigidi limiti ai pagamenti in contanti. L’abolizione così immediata e plateale era evidentemente il prezzo pagato agli elettori delle piccole partite Iva. Un prezzo aggravato dal risvolto psicologico, perché, a torto o a ragione, i contribuenti vedevano in Visco il "talebano" e in Tremonti "l’uomo di mondo", uno che comprende e fa i condoni. Sarebbe la cosa migliore tornare indietro, ma temo che sarà politicamente impossibile.
E allora, in nome delle necessità di cassa, prepariamoci al nuovo condono, una riedizione dello scudo fiscale per il rientro dei capitali dall’estero, aiutato dall’alibi che stavolta l’Italia sarà in buona compagnia. Nell’attesa, ricordiamoci della solenne promessa di Tremonti appena tornato al ministero, desideroso di scrollasi di dosso la fama del "condonatore" e di rifarsi l’immagine in sede europea dopo le rimostranze comunitarie contro la sua precedente sanatoria in tema di Iva: "mai più condoni!". Mai più dopo il prossimo, ben s’intende.

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